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  • Immagine del redattoreMaria Grazia Tiberii

Era il 20 dicembre 1969 ... Addio Adolfo Consolini.



#Overthemyworld🌍 Anche se non ci pensiamo mai ogni giorno dell’anno può essere ricordato. 
Il 20 dicembre del 1969, mentre l’Italia del Boom si apprestava a festeggiare il Natale, spariva per sempre uno dei più grandi miti del XX secolo.





Era il 1917. In un mondo falcidiato dalla guerra, sulla sponda orientale del Lago di Garda, una famiglia di contadini vide nascere il suo quinto figlio: Adolfo Consolini. Certo nessuno poteva immaginare che un giorno sarebbe divenuto il più grande atleta italiano di tutti i tempi. Appena ritenuto in grado aveva iniziato a lavorare la terra, con somma soddisfazione del padre che era solito dichiarare che la sua forza era tale da farlo rendere per tre! Un giorno nel paese fu indetta una competizione di lancio della pietra (ben sette chili) e Adolfo ne fu il vincitore.

In quell'occasione fu notato da colui che diverrà il suo primo maestro: il maresciallo Bovi.

Adolfo iniziò gareggiare e i risultati non si fecero attendere.

Inizialmente si cimentò nel lancio del peso ma fu costretto ad abbandonare la disciplina a causa di una frattura al polso.

Per nulla scoraggiato dall'incidente si dedicò al disco; debuttò a Verona nel 1937 e continuò gareggiare fino a pochi mesi prima della sua dipartita.

Fino a metà degli anni Cinquanta Dolivo, come veniva chiamato dagli amici, dominò il lancio del disco.

Vinse l'oro olimpico a Londra nel 1948, e tre titoli europei e 15 italiani tra il 1941 e il 1956.

Fu sempre tra i primi 4 nelle classifiche mondiali e tra il luglio del 1952 e il novembre del 1956 vinse 111 delle 112 gare alle quali partecipò. L'unica sconfitta la subì dal sovietico Grigalka ne giugno del 1955 a Mosca. Nel 1940 dopo essersi trasferito a Milano, trovò lavoro presso una fabbrica di tessuti ma non smise mai di gareggiare. In quell'anno riuscì a battere con un lancio di 9 metri il primato dello statunitense Archie Harris, un atleta di colore.

Nei successivi cinque anni la guerra bloccò la sua attività ma alla fine del conflitto vantava una forma straordinaria. Un giorno su una spiaggia svedese, dove si era recato per preparare gli europei di Oslo, un pescatore gli misurò un lancio di più di 56 metri.

Dopo aver conquistato il titolo europeo il suo sorriso fu considerato pubblicità per lItalia.

Fu il periodo in cui nacque la rivalità con Giuseppe Tosi, anch'egli grande lanciatore del disco. Nel frattempo era stato assunto alla Pirelli, posto che occuperà fino alla morte riuscendo a portare avanti, oltre alla carriera sportiva, anche quella lavorativa (da rappresentante a funzionario).



Il suo segreto?
Sveglia ogni mattina alle sette e alimentazione sana e semplice, Adolfo mangiava minestra di riso e una bistecca da due etti a ogni pasto. Ovviamente si allenava in maniera costante, ma senza mai eccedere.

La sua vita privata non fu così limpida; dopo aver avuto un flirt piuttosto chiacchierato con la lanciatrice sovietica Nina Dumbadze, nel 1951, sposò una sua tifosa austriaca conosciuta attraverso affettuosa corrispondenza: Hanny.

Chi ha detto che i giovani che ciattano sono diversi dai nostri genitori?

Il matrimonio fu allietato da un figlio chiamato Sergio che ebbe la fortuna di assistere ai successi del padre fino al giorno in cui il pigrande atleta italiano di tutti i tempi contrasse una brutta epatite virale che, il 20 dicembre del 1969, lo condusse alla tomba.

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