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  • Immagine del redattoreMaria Grazia Tiberii

Era il Primo gennaio 2011 ... Addio vecchio e caro sacchetto


sparito dal 2011
Il vecchio stopper in plastica

Erano gli anni del Rock and roll e della Tv in bianco e nero, delle prime utilitarie e del rifiorire dell’economia dopo la guerra … erano  i favolosi anni ’50. Ed è proprio l’inizio degli anni ’50 che celebra la nascita un oggetto destinato ad invadere ogni angolo del nostro pianeta: il #sacchetto di #plastica.

Certo, non era esattamente come gli “shopper” che siamo abituati a vedere in ogni negozio. Il primissimo sacchetto era realizzato con una plastica più pesante di quella usata oggi ed aveva manici lavorati separatamente ed applicati  a parte, mentre gli attuali sono un unico pezzo di plastica. Bisognerà attendere il 1965 perché un ingegnere svedese inventi il modello di “shopper” che ancora usiamo. La Svezia ne fu per lungo tempo monopolista - grazie ad un brevetto  della Celloplast - fino a quando la compagnia petrolifera Mobil non riuscì a superare il brevetto. Da quel momento il sacchetto approdò negli Stati Uniti e riscosse un successo enorme soprattutto per merito dei supermercati che lo usò in sostituzione dei tradizionali sacchetti di carta, più fragili e – soprattutto – più costosi. A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 il sacchetto di plastica era ormai diffuso in tutto il globo, ed iniziava a mietere le sue vittime. Le buste in circolazione, in genere, erano realizzate di Polietilene ad alta densità; un materiale che ha più opacità ed un maggior grado di resistenza rispetto ad altri film plastici. Il Polietilene non è biodegradabile, viene intaccato - molto lentamente - dai raggi ultravioletti e dal calore, frammentandosi in brandelli. Il lento processo di dissoluzione può essere lungo anche 1.000 anni. Riciclarlo o recuperarlo avrebbe un costo eccessivo, quindi le buste colorate rimanevano - e  rimangono - nell’ambiente; spesso disperse in mare diventano cibo per uccelli marini e cetacei. Un tragico pasto che provoca la morte per soffocamento, blocchi intestinali e lesioni di varia natura.

In media ogni italiano, neonati compresi, consumava trecento sacchetti ogni anno; un numero che moltiplicato per il numero di abitanti della nostra bella penisola produce l’impressionante cifra di 20.000.000.000!

Ma finalmente l’Italia, dal primo giorno di gennaio del 2011, decise di bandire i famigerati sacchetti. Tra un tonfo e l’altro del Governo il ministro Stefania Prestigiacomo si oppose efficacemente all’inserimento nell’ennesimo “decreto Milleproroghe” di un nuovo posticipo all’eliminazione dei sacchetti. In origine il divieto rispettava la scadenza della direttiva comunitaria sulla “compostabilità” degli imballaggi, ed era fissata al 1 gennaio 2010, la scadenza è stata poi spostata di un anno e poi, fortunatamente, entra in vigore. L’ulteriore rinvio era stato chiesto per la necessità di smaltimento delle scorte, ma come si è potuto accumulare un intero anno di scorte quando era da tempo nota la scadenza? Certo siamo il Italia! Il paese delle proroghe.


Con il primo giorno del 2011 le macchine che sfornanovano i sacchetti di plastica si spensero per sempre ed in circolazione rimasero solo quelli già prodotti. Molti ci terranno compagnia per svariati secoli, monumento ad uno dei peggiori prodotti del XX secolo.


E tu oggi come porti a casa la spesa?

Ricordi la vecchia “borsa della spesa”? Donne agghindate in abitini colorati uscivano portando nella mano destra una grande borsa nella quale riporre le merci acquistate sui banchi del mercato; certo non erano immerse negli allucinanti ritmi di vita del nostro millennio.

Se decidi di voler fare un tuffo nel passato puoi provare a realizzare una borsa "Vintage", mia madre le realizzava nei lunghi e assolati pomeriggi estivi riducendo i sacchetti di plastica colorata in striscioline



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