Maria Grazia Tiberii
Oggi la Compagnia dei Viaggiatori vi porta a ... Carsulae.
Un viaggio magico alla scoperta di un mondo antico che ancora permea la nostra vita, un mondo che ha cambiato per sempre i destini dell’umanità.
Siamo nella propaggine meridionale dell’Umbria, ai piedi dei Monti Martani, tra Terni e San Gemini. Ci troviamo su un pianoro circondato da una fertile pianura, nel territorio in cui un giorno sorgeva la splendida città di Carsulae.
Iniziamo il cammino a ritroso nel tempo dal Centro visita, dove è possibile ammirare un’esposizione di reperti rinvenuti nel corso degli scavi, che funge da portale d’ingresso all’area archeologica.
I primi insediamenti stabili, databili al IX secolo a.C., con il trascorrere del tempo si trasformarono in una città che accrebbe notevolmente il numero dei suoi abitanti quando il console Caio Flaminio volle costruire una via per collegare Roma all’Adriatico. La via Flaminia, tracciata tra il 220 e il 219 a.C. ricalcando le antiche vie naturali di comunicazione, attirò anche le comunità agricole e pastorali stanziate nei monti circostanti che speravano di migliorare le dure condizioni di vita.
I nostri piedi calpestano il basolato percorso da mille e mille calighe, una pavimentazione che mostra chiaramente i solchi scavati dai carri colmi di mercanzie che vi transitavano.
La via Flaminia attraversa Carsulae da Sud a Nord e coincide con il suo cardo maximus, sul quale si affacciano i più importanti edifici pubblici. Camminando possiamo immaginare i chiassosi venditori che nel mercato offrono le loro merci, le tabernae sotto i porticati dove uomini togati indugiano a bere del vino speziato osservando distrattamente i carri che lentamente sfilano sulla via. Una via brulicante di vita, affollata di donne intente a fare acquisti, ragazzini che si rincorrono, mendicanti, soldati ... La quotidianità di una fiorente città romana.
Inizialmente Carsulae fu emporio e luogo di sosta dove i viandanti potevano mangiare e fare un bagno ma negli anni accrebbe la sua importanza fino a divenire fiorente centro politico e commerciale.
Menzionata da Strabone come una delle città più importanti lungo la via che collegava Roma all’Adriatico deriva la sua fortuna, oltre che dai commerci, dalla ricchezza delle sue campagne. Plinio il Vecchio descrive la zona come particolarmente adatta alla coltivazione della vite.
All’inizio del percorso, sulla destra, si trova l’area termale; gli ambienti sono ancora interrati ma si conosce l’esistenza di pavimenti a mosaico. La presenza delle terme e la vicinanza con le fonti di acque minerali resero Carsulae famosa e favorirono lo sviluppo di una fiorente economia.
A partire dal I secolo a.C. nel centro furono costruite superbe opere monumentali e in età imperiale l’architettura raggiunse il suo massimo splendore. Alla fine del secolo la via consolare fu ristrutturata, fu costruita una nuova piazza del Foro e la città si arricchì delle terme e del teatro.
Il primo edificio che incontriamo percorrendo il cardo è la Chiesa dei santi Cosma e Damiano. Fu eretta nell’XI secolo sui resti di un edificio romano di cui sono ben visibili le tracce sul fianco meridionale. Si tratta di strutture murarie in opus vittatum, blocchetti di calcare con ricorsi regolari di mattoni, sulle quali impostano tre archi a tutto sesto.
La dedica ai santi Cosma e Damiano, medici gemelli, probabilmente ricalca il culto di Castore e Polluce, divinità curatrici.
Nei pressi della chiesa ai lati della strada ruderi di una serie di vani, alcuni disposti intorno a un cortile centrale, forse resti di edilizia residenziale.
Quasi a metà strada tra le case e le terme una delle quattro cisterne, testimoni dell’ ottimo sistema di rifornimento idrico.
I quartieri abitativi, ubicati nelle aree a ridosso del centro, non sono ancora stati riportati alla luce. In epoca augustea Carsulae ospitava 20.000 abitanti.

Procedendo, sulla destra, i resti della Basilica, grande aula rettangolare con abside finale, divisa in tre navate da due file di pilastri. Era il luogo dove si amministrava la giustizia e si esercitavano i commerci.
Sull’altro lato del cardo la piazza forense. Il Foro, largo quasi 40 metri e profondo 60 fu costruito in gran parte su un terrazzamento in muratura al quale si addossano, sul lato prospiciente la strada, le tabernae.
È qui che il cardo incrocia il decumanus maximus, che taglia la città da Est ad Ovest.

Nel XVI secolo i Conti Cesi, famiglia di Federico - fondatore nel 1602 dell’Accademia dei Lincei - avviarono gli scavi che si protrassero in maniera discontinua. Bisognerà attendere le campagne che tra il 1951 e il 1972 riportarono alla luce strutture edilizie e iscrizioni che testimoniavano di un municipio ricco, dotato di vita politica e commerci fiorenti.
Continuando a percorrere l’antica via Flaminia arriviamo all’ingresso Nord; a ricordo della porta solo il fornice centrale dei tre che la componevano e qualche traccia degli incassi e dei decori. L’Arco di San Damiano, realizzato in blocchi di travertino in età augustea per delimitare simbolicamente la città priva di mura, era interamente rivestito di lastre di marmo incastrate a contrasto e senza Malta.

Il fornice centrale era adibito al passaggio dei carri, quelli laterali ora crollati riservati ai pedoni.
Oltre la porta alcune tombe monumentali che hanno ospitato le spoglie di famiglie aristocratiche. Non molto distante una tomba a cassone con sarcofago in piombo conteneva i resti di una fanciulla.

Nella Roma antica vigeva l’obbligo imprescindibile di onorare i defunti la cui anima si univa alla schiera degli spiriti protettori della famiglia.
Anche i ceti più umili, che erano inumati a spese dello stato, avevano la loro cerimonia funebre. Si credeva che se un morto fosse rimasto insepolto, o se fosse stato inumato senza seguire il giusto rituale, la sua anima sarebbe rimasta sulla terra a vagare senza pace, tormentando i parenti che non gli avevano reso onore.

Torniamo indietro fino a raggiungere il decumanus maximus, all’altezza dell’ingresso al foro. La strada conduce agli edifici di spettacolo.
L’anfiteatro, costruito in una depressione del terreno, è stato parzialmente scavato nella metà settentrionale e sono visibili gli accessi all’arena.
Quasi in asse con l’anfiteatro troviamo il teatro, costruito in opus reticulatum, con gli archi in laterizio e la cavea divisa in tre ordini.
Sul muro del pulpito si aprivano quattro nicchie e alle spalle vi era il sipario.
Le testimonianze della vita a Carsulae cessano bruscamente nel corso della prima metà del IV secolo, in concomitanza con lo spostamento del tracciato principale della Flaminia verso la pianura spoletina ed un forte terremoto che fece crollare alcune doline sulle quali sorgevano molti edifici.
Le rovine furono lentamente ricoperte dal terriccio alluvionale proveniente dalle vicine montagne.
Un occhio attento osservando le rovine del l’anfiteatro percepisce che le sue dimensioni sono troppo grandi per la città, si intuisce facilmente che era stato pensato per lo svago dei viandanti e delle popolazioni limitrofe che a frotte raggiungevano Carsulae.
Torniamo sulla via Flaminia per provare a immaginare le emozioni di chi per la prima volta si trovava a camminare tra monumenti di uno splendore che nulla aveva da invidiare all’Urbe.
Malgrado la sua importanza Carsulae era quasi ignorata dagli storici romani. Alcuni ricercatori pensano che la città servisse da luogo quarantena per i legionari reduci dalle vittoriose campagne nel Nord Europa; un isolamento obbligatorio prima del rientro a Roma, per evitare il rischio di contagio con malattie importate. Carsulae, grazie alle sue acque medicamentose, il clima salubre, il teatro e l’anfiteatro, era l’ideale per ospitate i soldati provati dalla battaglia.
La giornata volge al termine, lasciamo Carsulae (https://www.carsulae.it)
con un pizzico di rimpianto ... Ma siamo già pronti per un altro viaggio.