Maria Grazia Tiberii
Oggi la Compagnia dei viaggiatori vi porta a ... Pompei.
Oggi partiamo per un viaggio davvero speciale, il nostro mezzo di trasporto è una macchina del tempo che ci conduce alle porte dell’antica città di Pompei; una città perfettamente conservata grazie alla coltre di cenere bollente che un brutto giorno scrisse la parola "Fine" alla sua storia.
Siamo nel 79 dopo Cristo, i cittadini non sanno che la loro montagna è un vulcano; quiescente da sette secoli il Vesuvio cela la caldera sotto una fitta coltre di vegetazione, dalle sue vigne si produce uno dei migliori vini dell'Impero. Il violento terremoto che nel 62 dopo Cristo aveva arrecato danni fino a Napoli non aveva destato troppi timori, le case erano state ricostruite e la vita aveva ripreso il solito corso.
Quel mese di agosto numerosi terremoti avevano scosso la città, qualche edificio era stato danneggiato e alla fine anche l’acquedotto ne aveva risentito lasciando senza il liquido vitale anche le terme. Alcuni patrizi, contrariati, avevano lasciato le ville ma nessuno presagiva il disastro; nell'attesa che la terra placasse le sue ire si iniziavano le riparazioni più urgenti.
La mattina del 24 agosto le strade di Pompei si erano popolate di schiavi, liberti e carretti che portavano le merci alle numerose botteghe, i ricchi si dedicavano esclusivamente alla politica e uscivano più tardi.
La nostra macchina del tempo atterra sul lato Ovest della città davanti a Porta Marina. È la porta dalla quale partiva la strada verso il mare; una delle sette porte aperte nel muro, lungo tremila e duecento metri, che cinge Pompei.
Percorriamo il meraviglioso basolato calpestando le stesse pietre che circa duemila anni fa avevano calpestato i pompeiani ammirando la razionalità dello schema urbanistico che intuiamo al primo sguardo. Uno schema che gli ingegneri ottenevano iniziando la costruzione delle città tracciando una via in direzione Est/Ovest, il Decumano maximo, che andava a costituire la via principale e incrociava ad angolo retto un'arteria denominata Cardo. Le strade minori seguivano il medesimo schema e formavano una scacchiera che permetteva alla città di espandersi senza stravolgere l’urbanistica.
Poco a poco le strade iniziano ad affollarsi, agli schiavi si aggiungono le matrone che in compagnia delle ancelle passeggiano soffermandosi a guardare le mercanzie esposte sui banconi degli orafi o si fermano a salutare un conoscente che si dirige alla Basilica per discutere o ascoltare ciò che gli oratori anno da dire.
Il primo edificio che raggiungiamo è l’anfiteatro, costruito nell’anno 80 avanti Cristo è più antico del Colosseo e può accogliere 20.000 spettatori; oggi rivive la sua magia ospitando concerti. Nel 1971 i Pink Floyd con lo spettacolo “Live a Pompei” hanno scritto una delle più belle pagine del Rock.

Ovviamente i pompeiani assistevano a spettacoli molto più cruenti, i preferiti erano i sanguinosi scontri tra gladiatori, le "Star" dell’epoca. La passione era fortissima e comune a tutti: uomini, donne, aristocratici e schiavi.
La strada principale di Pompei è stata deno minata Via dell’Abbondanza a causa del bassorilievo posto su una fontana che reca la rappresensazione della Vittoria Augusta, in principio confusa con l’Abbondanza. La incrociamo alla fine della strada che costeggia l’anfiteatro e ci rechiamo ai teatri, uno “Grande” e l’altro “Piccolo”, collegati tra loro. Il Teatro Grande contiene fino a 5.000 spettatori, costruito nel II secolo avanti Cristo ospita ancora rappresentazioni.
I cittadini amavano trascorre il tempo libero a teatro, si poteva scegliere tra mimo o commedie e tragedie greche.
Continuiamo a percorrere via dell’Abbondanza e raggiungiamo il Foro, il cuore della città.
Una piazza imponente che ospitava gli edifici pubblici, dove si svolgevano i commerci e si dipanava la vita politica.
La piazza del Foro è gremita, nella Basilica si celebra un processo e in molti si accalcano per entrare ad ascoltare e fare il tifo per l’avvocato preferito. Nell’aria rovente si diffondono gli odori delle spezie vendute al mercato dove le bancarelle sono affollate di schiavi che scelgono le erbe da acquistare; qualcuno lavora per una delle tabernae e qualcuno per il guaritore. Una liberta contratta per una dose di mistura per tingere i capelli e un piccolo sacchetto di erbe afrodisiache.
I quartieri che circondano il Foro sono un incredibile museo a cielo aperto; tra i numerosi edifici immaginiamo il caotico disordine di una mattina di un paio di migliaia di anni or sono.
Nei pressi della Basilica troviamo il tempio di Giove, Apollo e il Santuario dei Lari Pubblici. Poi case che si alternano a botteghe, antiche fontane pubbliche e piccoli orti allineati lungo le vie della città.
Le Domus ci mostrano lo splendore dei mosaici e degli affreschi, possiamo inebriarci dei profumi che dagli splendidi giardini interni saturano l’aria. Le piccole case appartenute ai commercianti conservano ancora tracce del piccolo spazio sul retro adibito a deposito e del bancone di pietra.
È quasi mezzogiorno, ogni genere di lavoro cessa. I pompeiani affollano le strade davanti alle tabernae dove dietro al bancone rivestito da un piano in marmo il proprietario serve garrum, una salsa preparata facendo macerare il pesce, verdure e pane. Ovviamente non mancava il vino allungato con acqua e corretto con spezie.
Alle tredici i patrizi si rilassano sui triclinium in attesa di recarsi alle terme mentre il popolo indugia scambiando due chiacchiere, c’è chi corteggia una fanciulla e chi invece decide di recarsi al lupanare.
Raggiungiamo un “Lupanare” percorrendo numerose vie secondarie. Ve ne erano molti, a Pompei non era discriminante frequentarli. Nelle piccole stanze arredate con un letto di pietra ricoperto da cuscini le schiave vendevano “Amore”. Nel lupanare più importante della città ogni postazione reca un affresco che illustra il servizio offerto.
Alle tredici del 24 agosto si udì un boato e una nube di gas e pomici oscurò il cielo, si addensò poi ricadde sulla città. L’eruzione si intercalava con violenti terremoti rendendo l’atmosfera surreale.
Da Miseno Plinio il Vecchio vide la scena apocalittica e con una barca cercò di raggiungere Pompei per soccorrere alcuni amici ... la sua tragica fine ha classificato la tipologia eruttiva che da allora è conosciuta come “Eruzione Pliniana”.
Nella notte ci fu un pausa di quiete, in molti fecero ritorno alle case incustodite e possibile preda di ladri, ma alle sette e trenta del mattino successivo una violentissima emissione di gas tossico e cenere ardente ricadde su Pompei. La cenere finissima si insinuò in ogni anfratto e avvolse in una coltre grigia spessa sei metri le città di Ercolano, Stabia e Pompei.
Ogni angolo ci conduce a una nuova meravigliosa scoperta, sostiamo in ogni casa abbagliati dalla città perduta. Esplorando le stanze immaginiamo i colori dei mirabili affreschi, i preziosi mosaici, i rumori dei carri che hanno lasciato solchi sul basolato ed il meraviglioso caleidoscopio di profumi speziati e colori che animavano le vie.
Prima di tornare nel Ventunesimo secolo ci rechiamo ai margini degli scavi dove, posta su un declivio oltre Porta Ercolano che offre un'incantevole vista sul golfo, riemergono i resti di una costruzione.
Esempio mirabile di commistione tra villa signorile e villa rustica ha un triclinio decorato da splendidi affreschi noto come “Sala dei misteri”. Il ciclo pittorico, molto discusso dagli studiosi, che occupa la fascia mediana della sala è dominato dalla coppia divina formata da Dioniso e Afrodite. Il culmine della tensione narrativa si ha nella scena rituale in cui una donna inginocchiata scopre il fallo, simbolo di fertilità, mentre un personaggio alato è intento alla flagellazione rituale.
Le immagini prendono vita ai nostri occhi attoniti, e la fantasia evoca rituali arcani. Gli stessi rituali che hanno indotto alcuni studiosi a pensare che sia la storia di una giovane donna iniziata ai riti dionisiaci.
Socchiudiamo gli occhi e sentiamo i rumori, percepiamo gli odori e riviviamo l’atmosfera sfrenata al culmine della cerimonia; uomini e donne ebbri di vino e sostanze allucinogene.
C'è chi ritiene che si tratti della preparazione di una fanciulla al matrimonio, per altri ancora non è che una satira in cui ogni rappresentazione allude alla vita del Dio e alla rivelazione del simbolo rigeneratore della vita nel succedersi delle stagioni. Riti arcani? Matrimoni?
Il mistero serpeggia e ci lascia liberi di leggere la storia che più ci affascina.
La giornata volge al termine, mentre percorriamo un’ultima volta la via dell’abbondanza il pensiero va alle persone spazzate via assieme alla loro città dalla furia della montagna. Una furia che ha inspirato a Marziale questi versi:
“ Ecco il Vesuvio, poc’anzi
Verdeggiante di vigneti
Ombrosi, qui un’uva pregiata
Faceva traboccare le tinozze;
Bacco amo’ questi balzi più dei
colli di Nisa, su questo monte i
Satiri in passato sciolsero le lor
danze; questa, di Sparta più
gradita, era di Venere la sede,
questo era il luogo rinomato
per il nome di Ercole. Or tutto
già è sommerso in fiamme ed
in tristo lapillo: ora non
vorrebbero gli dei che fosse
stato loro consentito
d’esercitare qui tanto potere.”